Zia Gilda abitava nel comune accanto, un po’ più grande e qualche centinaia di metri più alto del nostro. La sua casa era davvero piccola, ma poteva vantare di una posizione molto privilegiata, probabilmente una delle più belle della zona.
Collocata sopra un cucuzzolo circondato di pendii erbosi, vigneti, uliveti ed antiche chiese rurali ormai sconsacrate, godeva di un panorama del lago a trecentosessanta gradi, mentre da noi si vedeva soltanto uno scorcio.
Ma quello che mi lasciava perplessa e piena di meraviglia era la vista mozzafiato delle due piccole isole sulle quali, nelle giornate uggiose, galleggiava una nebbia misteriosa che sfiorava delicatamente la loro fitta vegetazione. Entrambe le terre emerse erano disabitate ed una di queste, forse la più enigmatica e sulla quale venivano raccontate diverse leggende, era custodita da un uomo anziano su cui giravano voci che fosse diventato pazzo perché dal giorno in cui accettò l’incarico di guardiano non potette mai più abbandonare quel luogo.
Era un pomeriggio freddo e ventoso. Mentre mi preparavo per uscire ascoltavo le gocce di pioggia che tamburellavano sulle tegole sopra il tetto e quel suono ipnotico mi faceva venire voglia di andare a dormire. A dire il vero avrei potuto restare a casa, ma dovevo iniziare a disegnare una bozza per un mio nuovo quadro, il cui soggetto era proprio un’isola, quindi quale luogo migliore per farlo se non da zia Gilda?
Così, un po’ svogliata e impigrita, presi il cappotto, l’ombrello e gli scarponi, e camminai verso la macchina. Guidai per una decina di chilometri sotto fulmini e saette, lungo stradine tortuose ricoperte di fango, tentando di evitare le pozzanghere che si erano formate per colpa di quel diluvio universale.
E così arrivai tutta inzuppata e infreddolita, in quella casa minuta che profumava di vaniglia, con l’ingresso un po’ in disordine e qualche gomitolo di lana buttato a terra. Una fumante tisana e un pezzo di torta al cioccolato tutta per me mi aspettavano sopra il tavolo, ed io ero grata.
Ci sedemmo insieme in cucina, davanti alla finestra da cui si vedevano le isole bagnate dal temporale e un istante dopo, come al solito, la zia iniziò a tessere i fili della sua magica storia:
“Antichissime leggende oramai dimenticate, ci raccontano di un mondo sotterraneo che si estende nelle più profonde cavità della Terra raggiungendo ogni angolo del pianeta. Agarthi, la città dei palazzi di cristallo scintillanti, dalle mura colorate da cui emana una luce arcobaleno, troppo immensa per essere descritta, e dove regna la pace e l’armonia.
Abitata da esseri sovrannaturali conoscitori della Verità Suprema ed esperti nell’Arte della Magia, l’intera città si prepara per ricevere il giorno in cui questo sapere potrà essere rivelato agli uomini e alle donne, quando entrambi desteranno le loro coscienze, abbandonando l’egoismo ed ogni forma di cupidigia.
In quel Mondo di Sotto risiede anche il Re del Mondo e il Consiglio dei Superiori Sconosciuti, nelle cui mani giace il destino di ognuno di noi.
Ma Agharti, che agli albori era chiamata Paradesha, non è sempre stata un regno nascosto: ci fu un tempo, conosciuto come l’Età dell’Oro, in cui questa meravigliosa città era baciata dal sole, ma quando il Male si impadronì del mondo i suoi abitanti si rifugiarono nelle viscere della Terra, ribattezzando la loro città col nome di Agarthi, ovvero “L’Inaccessibile”.
I suoi ingressi disseminati in ogni angolo del mondo sono nascosti al Male dietro delle porte invisibili, e se per caso qualche mortale riuscisse fortuitamente ad entrarci si perderebbe nei meandri dei labirinti sotterranei e per lui non ci sarebbe modo alcuno di tornare indietro.
Un giorno però, quando questa Età Oscura sarà arrivata all’apice del suo degrado, e il tempo del Male Supremo avverrà, il Re del Mondo, insieme ai suoi sudditi e ai Superiori Sconosciuti, uscirà dal suo nascondiglio per affiancare gli uomini e le donne giuste e combattere insieme a loro la grande Battaglia Finale. Coloro che appartengono alle tenebre periranno sotto la luce dell’amore e la città di Agarthi risorgerà per dare vita ad un nuovo ciclo di splendore.”
Dopo il suo fantastico racconto, e come se il cielo stesso volesse farle un applauso, i raggi di sole spalancarono i cancelli del firmamento, umili ma prepotenti, portarono via la pioggia donando sollievo alla terra. Mi girai verso mia zia con sguardo interrogativo e il suo braccio avvolse le mie spalle. “Dovresti venire più spesso da me”, disse con quel suo tono pacato, “Il Signore del Mondo potrebbe risorgere da un momento all’altro e non vorrai mica perderti lo spettacolo!” Aggiunse puntando il dito su una delle isole.