Fin da bambina ho sempre dormito con le finestre aperte anche in inverno. Soprattutto in inverno.
Quell’aria fredda che entrava dal mio naso e si intrufolava un po’ ovunque dentro di me era una dolce carezza che preannunciava l’arrivo delle fate che cullavano i miei sogni da fanciulla.
Anche da grande ho mantenuto quell’abitudine e, come se fosse oggi, ricordo ancora quella mattina di gennaio, quando i primi e unici fiocchi della stagione mi fecero visita nelle mie stanze, entrando furtivamente dalla finestra probabilmente nel cuore della notte.
Mi svegliai che era ancora buio, con quel profumo fresco, casto ed incorrotto della neve appena caduta, e rimasi sotto le lenzuola ad osservare il bagliore dei batuffoli che ricoprivano il pavimento di rovere antico. Hercules, il mio gattino trovatello di sette mesi, mi raggiunse istanti dopo ed entrambi rimanemmo sul letto coccolandoci a vicenda. Riesco ancora ad ascoltare il rumore delle sue fusa e a sentire le mie dita sprofondare sul quel morbido pancino bianco.
Non ricordo esattamente quanto siamo rimasti lì, a crogiolarci fra le coperte di lana fatte a mano da mia nonna e un po’ rovinate dal passare del tempo, sospesi su quella nuvola atemporale insieme alla neve che ormai si stava sciogliendo e che poco dopo avrei dovuto asciugare.
Mi alzai a stento, stiracchiandomi con pigrizia mentre osservavo Hercules, che di alzarsi non ne voleva sapere. Mentre camminavo verso la cucina, passo dopo passo, la casa diventava sempre più calda, l’odore della neve si affievoliva ed il profumo avvolgente della cannella si insinuava fra le mura domestiche. Dovevo immaginarlo: mia sorella stava infornando i biscotti per la colazione e quell’aroma di focolare mi rammentò quanto fossi fortunata.
Il camino era già accesso e la tavola quasi pronta, apparecchiata con la tovaglia gialla ricamata dalla nostra anziana vicina. Il fumo usciva dal beccuccio della teiera di ghisa, dove riposava una deliziosa tisana ai frutti di bosco.
Nell’attesa, mi sedetti sulla poltrona accanto al camino scoppiettante e Milly, la gatta del falegname che ogni tanto veniva a stare da noi, si avvicinò con nonchalance per reclamare il posto d’onore accanto al focolare.
Dal finestrone del salone, ancora un po’ bagnato dalle goccioline di condensa, osservai il cielo grigiastro e gli stormi di uccelli che volavano basso. La natura intorno a me lasciava intendere che a breve la neve sarebbe ricominciata a scendere e che gli spiriti delle fate sarebbero rimasti insieme a noi per tutta la giornata.
Di cos’altro avremmo avuto bisogno per essere felici?