Dalla mia postazione sopra un rametto secco, osservavo il mondo trasformarsi: i colori violacei dei tramonti di fine estate, degli arbusti tappezzati di bacche di sambuco, fichi, uva e prugne.
Il sole che un tempo mi riscaldava ora faceva marcia indietro sull’orizzonte e lentamente cominciava a svanire, a dirmi addio. Più lo osservavo, più desideravo trattenerlo, e più desideravo trattenerlo, più il mio canto si affievoliva, mentre il momento in cui avrei dovuto lasciare il mio ultimo saluto al mondo si avvicinava sempre di più.
Le foglie un po’ ingiallite ondeggiavano leggermente sopra di me, e le formiche si affaccendavano lungo il sentiero invisibile tracciato sulla corteccia, ignare che qualcuno le stesse osservando con curiosità.
In lontananza, il rumore di un trattore si confondeva con i suoni del crepuscolo: lo scoppiettare della terra secca, il cinguettio degli uccelli, il canto di una civetta e il vociferare degli uomini che approfittavano degli ultimi raggi di sole per porre fine alle loro attività quotidiane prima del calare della notte.
L’aria fresca della sera portava con sé il profumo del fieno, del finocchietto selvatico, e quello intenso delle more mature, appese come gemme oscure tra le foglie. Ogni cosa intorno a me raccontava un pezzettino di storia: la storia di un’altra estate che non voleva andare via, ma che inesorabilmente svaniva, lasciando nell’aria il profumo dolciastro di erba secca e di foglie appassite, e un maschio di cicala nostalgico che osservava il tramonto consapevole che, per lui, era sicuramente l’ultimo.
Il mio canto, un tempo vivace e incessante, ormai era diventato un sussurro. Sempre più debole, più raro, più sottile; ricordandomi quanto fosse effimero il tempo, quanto fosse breve la vita.
Un raggio di luna illuminò le mie antenne strappandomi dalla malinconia per suggerirmi che era tempo di cercare rifugio sotto le foglie, in un luogo tranquillo e nascosto dove consegnare il mio corpo all’oscurità. Ma proprio ora, che ero pronto a cedere al sonno della notte eterna, il fruscio delle foglie e il sussurro lontano dei piccoli insetti che animavano il buio decisero che prima di andarmene dovevo ascoltare una storia. Una storia di rinascita e trasformazione, di eterni cicli di vita. Una storia che, anche se poteva sembrare triste, in realtà era a lieto fine. La storia che dovevo ascoltare era la mia.
Nel buio del sottosuolo, laddove il sole non può penetrare e l’odore dell’humus si mischia al profumo delle radici; dove i suoni sono ovattati, quasi impercettibili, come il crepitio delle minuscole particelle di terra che si spostano, si cela una storia di meraviglia e pazienza; di magia e speranza.
Questa è la storia delle cicale che, molto prima di cantare sotto il sole estivo, iniziano la loro esistenza in questo mondo nascosto, avvolte nell’abbraccio della terra, attraversando un lento e paziente processo di crescita, sospese in un tempo non-tempo, nutrendosi dalla linfa che scorre nelle radici per diversi anni prima di essere pronte ad uscire allo scoperto.
Durante il loro lungo soggiorno sotterraneo, le ninfe di cicale si trasformano sotto gli occhi invisibili della natura. Il loro corpo, un tempo piccolo e gracile, si rinforza e si modella alimentato dall’essenza stessa degli alberi, l’elisir di vita che scorre nel mondo segreto delle radici. In questo abbraccio di oscurità, le ninfe riempiono i loro corpi con la forza della terra e si preparano a compiere il grande viaggio verso la superficie, dove il mondo esterno attende il loro ritorno fatto di luce, abbondanza e vita.
Sopra il terreno, il fruscio dei granelli di terra si propaga tra le foglie riscaldate dal sole estivo, mentre le ninfe emergono come creature nuove e meravigliose, con le ali scintillanti sotto il calore di giugno, pronte ad iniziare una vita breve ma ricca di significato che ora si svolge all’aperto, in un mondo tutto da scoprire.
Il canto dei maschi, inizialmente timido e incerto, col passare dei giorni diventa vibrante e potente, un richiamo d’amore che riempie l’aria di vita, dove ogni nota sembra essere un tributo alla loro lunga attesa e al viaggio che hanno compiuto per raggiungere la superficie.
Dopo essersi accoppiata con il compagno dal canto più melodioso, la femmina di cicala, con gesto delicato e preciso, depone le uova nelle fessure che lei stessa ha creato nei ramoscelli vicino al terreno. E proprio da lì, da quello spazio sicuro tra le screpolature della corteccia e l’ombra delle foglie, piccole ninfe nascono ancora e partono per il loro lungo e misterioso viaggio sotterraneo, dove il ciclo della vita, nascosto da sguardi indiscreti, si rinnova ancora una volta, in un mondo fatto di radici, buio e silenzio.
Quando nelle giornate come oggi, la natura comincia a vestirsi di nuovi colori e le foglie sfumate di oro e rame iniziano a danzare al ritmo di una brezza più fresca, le cicale, ormai esauste, si ritirano in luoghi sicuri e tranquilli. Dove i suoni del mondo si attenuano e un lieve mormorio di vita sotterranea le avvolge, consegnano i loro corpi alla terra e ritornando alle radici di cui si sono nutrire.
Linfa sei, e linfa ritorni.